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PIETRA OLLARE

Con la denominazione convenzionale di pietra ollare si designano varie rocce metamorfiche compatte e caratterizzate dalla facile lavorabilità e dall’alto grado di resistenza al calore: per questo sono particolarmente adatte a essere utilizzate per la fabbricazione di pentole (in latino ollae, in dialetto locale laveggi). Le particolari condizioni necessarie per la formazione della pietra ollare limitano la sua presenza esclusivamente all’area alpina.

La storia della Valchiavenna è legata alla pietra ollare, materiale di cui è costituita la montagna del versante sinistro, da Prata Camportaccio a Bondo, nella Val Bregaglia Svizzera. 
In Valchiavenna sono innumerevoli le testimonianze dell'impiego della pietra ollare: laveggi, olle, lavelli, vasi, davanzali, portali, fontane, camini, pigne o stufe, acquasantiere, balaustre, colonne, rocchi torniti, condutture di scarico, pavimenti, ri­vestimenti… È addirittura documentato, nel '700 e '800, la produzione di tazze per cioccolata e per caffè, bicchieri e tabacchiere.

Le cave di pietra ollare erano di due tipi: in superficie e sotterranee o trone. Nelle prime ci si aiutava con pon­teggi, sistemati in apposite sedi, con l'incisione di scale e di canali per lo scolo delle acque. Ve ne sono di verticali, come quella che reca la data più antica, 1428, alle spalle della chiesa di Prosto, e di orizzontali, come quella ampia a monte della galleria ferroviaria di Prata, ai confini della quale sono state anche ritrovate le incisioni preistoriche.
Dopo l’estrazione, la pietra veniva portata a spalla fino a Chiavenna, dove era lavorata ai torni della Molinanca e della Bottonera: due toponimi quanto mai trasparenti, che si riferiscono ai molini dei torni e delle officine artigiane e ai botón, lo scarto troncoconico nella lavorazione dei vasi, che veniva usato per pavimentare le strade. Torni e cave erano anche a Crana, a Sant'Abbondio, e soprattutto a Prosto, presso la chiesa, "dove si lavora un numero infinito di laveggi”.

Le incisioni preistoriche più antiche ritrovate, datate alla tarda età del bronzo o alla prima del ferro, sono scolpite su massi di tale pietra.
Alla pietra della Valchiavenna si riferiva Plinio il Vecchio in un passo della Na­turalis historia, parlando del “lapis viridis comensis”, e riferendosi a fatto che all’epoca la Valchiavenna era parte del municipio di Como.

Il capolavoro in pietra ollare, in campo figurativo, è il monolitico fonte battesimale di San Lorenzo in Chiavenna, eseguito nel marzo del 1156. I documenti d'archivio e l’iscrizione che corre sulla vasca, decorata a mezzo-rilievo con scene legate al rito del Battesimo (Benedizione dell’acqua, Amministrazione del Sacramento), testimoniano che il fautore di tale opera fu un certo Guidon de Pluri.

Nel 1354 il capitolo di San Lorenzo di Chiavenna investiva Giacomo Ventreta di Piuro di una tróna sotto Dona di Prata Camportaccio, in cambio di un blocco di quattro laveggi. Due anni dopo si ricordano due società di “tróne” a Piuro.

Nel corso del XV secolo figurano a Piuro due località che si riferiscono ai torni dei laveggi: "ad Turnos de Medio" e "ad Turnos de Sallegio". Nel 1425 compaiono le trone di Labriano , nel 1476 quelle "ad Caprille"  (il torrente che fa da confine tra Chiavenna e Piuro) e l'anno dopo "de Lazocha" in comune di Prata.
In questo secolo il mercato della pietra ollare era più che mai fiorente: nel 1485 mastro Pianta de Limogis (Lumaga) di Piuro e Giovanni Rossati Salchi (Scialchi) di Dasìle costituivano una ditta a Bologna, dove vendevano 24 cavagne di vasi in pietra oliare, prodotti e acquistati in Piuro.
Di torni si parla anche quattro anni dopo, quando il proprietario Guglielmo Pestalozzi chiedeva agli uffici ducali di essere risarcito, essendo stato distrutto l'edificio con "Torni 3 da fare Lavezi" dal passaggio delle mura di cinta, ordinate da Ludovico il Moro intorno a Chiavenna.
Nel 1492 un cronista al seguito di una delegazione veneta, di passaggio da Piuro, annotava: "In questa villa si fanno li lavezzi de petra et vi sono forsi XXX torni, che continue lavorano: cosa bellissima de veder le montagne, che fanno i predecti saxi".

Notevole impiego ebbe la pietra ollare nel '500 in concomitanza con il sorgere dell'attuale centro storico di Chiavenna e con un certo benessere economico. Il modello cinquecentesco dei portali, che sono tra i particolari più notevoli del centro storico chiavennasco, è caratterizzato dai rosoncini, disposti generalmente a metà delle spallette e al centro dell'architrave o dell'arco a tutto sesto. Soluzioni più ricercate e colte si hanno nei bugnati della seconda metà del secolo, nel palazzo Pestalozzi-Pollavini, firmato da Divina (1589), di origine probabilmente trentina. A questi è attribuito, per analogia, pure il palazzo Pestalozzi-Castelvetro (1581).
Negli statuti di Piuro del 1538 era previsto il giuramento del console di "observare tutte le consuetudine dello Ministero delle Trone de lavezzi, sí come da qui indietro è stato observato et solito nel Comune di Plurio, et di commettere le differentie di dette Trone a huomini, quali siano experti". In appendice vi è la "Copia delli Capitoli et ordinationi fatti sopra le Tronne e dalli Ill.mi SS.ri delle Eccelse Tre Leghe confirmati".

Sulla lavorazione della pietra ollare parlano, nel XVII secolo, anche Francesco Negri di Bassano, Ulrich Campell, Vincenzo Scamozzi e Roberto Rusca.
Giovanni Guler, governatore di Valtellina, in un libro stampato a Zurigo nel 1616, scrive che gli abitanti di Uschione, dove c'era allora una sessantina di case, vivevano quasi tutti della estrazione della pietra ollare.
Il Guler data le cave di Piuro a prima della nascita di Cristo e non manca di notare che "la montagna con l’andar dei secoli e per gli scavi incessanti è ora ripidissima, così che i montanari quando vogliono lavorare discendono in basso, non senza pericolo, per alcuni gradini intagliati nei dirupi". 

Tra il 1640 e il 1666 gli addetti alle cave e ai torni davano offerte per la fabbrica della chiesa di San Carlo e nel 1668 venivano visitati dal vescovo di Como Giovanni Ambrogio Torriani, il quale, scendendo da San Martino di Aurogo, "andò a vedere nei Torni à far li lavezzi".

Nel 1703 il medico e naturalista svizzero Johann Jacob Scheuchzer visitò la Valchiavenna e descrisse in dettaglio la lavorazione della pietra ollare.
Altre informazioni vengono fornite da Rodolfo Pestalozzi, figura politica di primo piano: secondo la sua testimonianza, dal 1740 al 1770 lavoravano oltre 200 cavatori in 12 cave, 60 portantini e 30-40 tornitori in 11 torni.
A parere di Giovan Battista Crollalanza la lavorazione dei laveggi era monopolio della famiglia Foico di Piuro; tale impresa fu avviata, a metà del '700, dai Cerletti di Chiavenna e da una società grigione di Bondo, ma senza successo. Nel 1772 il governatore grigione Wolfango Federico Juvalta accusò il dottor Francesco Foico di Prosto di aver monopolizzato a scapito della Repubblica delle Tre Leghe. La questione fu risolta quattro anni dopo da una votazione popolare che diede ragione al Foico. Per l'occasione uscì un libretto di quest'ultimo, cui replicò lo Juvalta da Coira con testo italiano e tedesco.

Nei secoli successivi la pietra ollare e la sua lavorazione hanno perso di importanza, soppiantate dall’industrializzazione.
Nonostante ciò, però, ancora oggi è attivo in Piuro un artigiano che si occupa della realizzazione di olle e laveggi, utilizzando la stessa tecnica di molti secoli, per non dire millenni, fa.

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