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BELFORT E AREE ARCHEOLOGICHE

Poco dopo l’avvento della frana, il commissario grigione di Chiavenna Fortunat Sprecher coordinò le prime ricerche di persone, ma si trovarono solo cadaveri. Otto giorni dopo, otto squadre di otto uomini ciascuna iniziarono gli scavi per il recupero degli oggetti e di quanto potesse ancora essere salvato. Nel marzo successivo alla tragedia era impegnato nello scavo un centinaio di persone.
I reperti ritrovati ritornavano ai legittimi eredi, previo riscatto. 

Seguirono poi nel tempo varie attività di scavo, volte però esclusivamente al recupero di oggetti di valore e alla ricerca delle antiche campane.
Sono poi testimoniati, nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento, vari rinvenimenti, più o meno casuali.

Le campagne scientifiche di scavo archeologico hanno avuto inizio negli anni sessanta dello scorso secolo.
Le più importanti sono quelle del 1963 e del 1966, realizzate grazie al contributo finanziario del Fondo nazionale svizzero per la promozione delle ricerche scientifiche. In quest’occasione venne indagato un luogo che era stato sede di mulini e botteghe per la lavorazione della pietra ollare: per questo sono stati trovati moltissimi oggetti legati a tale pratica (pentole, scarti di lavorazione, detti ‘botón’, ecc.), ma anche frammenti di terrecotte e strumenti metallici di uso quotidiano.

Una successiva campagna di scavi ebbe inizio quasi casualmente nel 1988, quando, durante lavori di arginatura del fiume Mera, si trovarono oggetti antichi, e fra questi 130 monete, alcune anche d’oro e provenienti da ogni parte d’Europa. Grazie all’impegno dell’amministrazione comunale vennero intrapresi dei veri e propri scavi archeologici, che portarono alla luce condutture idrauliche in pietra ollare (ora presso il Museo degli scavi di Piuro), coperte di libri in pelle e altri oggetti in oro e argento, ora conservati presso l’ex sede della Comunità montana della Valchiavenna, a Chiavenna.

Le aree che sono state oggetto di studio e scavo archeologico durante questi anni sono ancora oggi visitabili.

Negli anni più recenti, a partire dal 2005, sono iniziati dei lavori di pulitura e messa in sicurezza dell’area cosiddetta di Belfòrt, all’estremità orientale dell’antico borgo di Piuro.
Qui si trovano ruderi di edifici risalenti a un’epoca precedente la frana: si può quindi affermare che si tratta delle uniche architetture del borgo vero e proprio sopravvissute alla frana.
Su quest’area si stanno concentrando oggi le attenzioni dell’Associazione italo-svizzera per gli scavi di Piuro, che pur non intervenendo direttamente con azioni di scavo archeologico, permette a questi luoghi di rivivere, attraverso attività teatrali e musicali che ne esaltano il fascino e la bellezza.

AREA BELFORT
 
Nel 2005 sono iniziati lavori di pulizia dalla vegetazione attorno a interessanti ruderi di un edificio in località Belfort, risalente all’epoca precedente la rovina. Trovandosi all’estremità orientale del borgo, evidentemente esso non è andato completamente distrutto neppure a causa dello spostamento d’aria prodotto dallo scoscendimento. Dalle numerose stampe d’epoca e dalla tela seicentesca, conservata a palazzo Vertemate Franchi di Piuro, che ricostruisce l’abitato sepolto, si può ipotizzare che si tratti di un grande palazzo appartenente a una delle famiglie facoltose di Piuro.

Oggi è quasi lambito dal fiume Mera in sponda destra, mentre prima della frana il corso d’acqua passava più a sud.

Gli imponenti ruderi di Belfort sono raggiungibili mediante la strada carrozzabile che, staccandosi dalla statale 37 all’altezza della cappellina al ponte di Borgonuovo, costeggia il fiume sulla sponda destra. L’ultimo breve tratto, sempre in piano, è agevolmente percorribile solo a piedi, in un suggestivo ambiente naturale.

Riguardo al toponimo, come ci riferisce il Guler sua “Raethia” del 1616, sembra sia da ricondurre all’antica denominazione del primo borgo, antecedente all’alluvione del VIII secolo,” e antecedente quindi alla denominazioni documentate di “Prore”, “Plurs”, “Piuro”, quando appunto l’abitato denominato “Belforte” si trovava “più addentro nella stretta gola della valle,” nelle adiacenze dell’area in seguito e attualmente chiamata Belfort.

HORTUS CONCLUSUS

Nel 2012, durante lavori di ripulitura dai rovi, è stata scoperta una grande costruzione  addossata ai ronchi,  un’area rettangolare lunga circa 20 metri e larga 9 resa pianeggiante e costruita su una zona in forte pendenza. Le murature sono realizzate in sassi e malta di calce e nella parte interna sono emerse alcune lastre di pietra messe in verticale, che potrebbero indicare le delimitazioni degli spazi adibiti a fioriere o ad orto.
Il manufatto è stato paragonato a edificazioni analoghe presenti nella Bregaglia svizzera e note come “Hortus Conclusus della Val Bregaglia”.

L’Hortus conclusus (orto recintato) è una tipica costruzione di epoca medioevale, realizzata prevalentemente all’interno di monasteri e conventi. In Bregaglia, invece, era edificato in aderenza o a distanza di abitazioni nobiliari, ed era utilizzato per la coltivazione di piante e alberi alimentari e medicinali, per la coltura di fiori e ortaggi, ma anche come ambienti riservati alla meditazione e al riposo.

Il sito può essere visitato e lo si raggiunge a piedi e lo si trova a circa 50 m sopra la SS 37, poco dopo la frazione di Borgonuovo in direzione della Svizzera.

GLI SCAVI

Subito dopo la frana toccò al commissario grigione di Chiavenna Fortunat Sprecher, coordinare le ricerche di eventuali persone in vita, ma si trovarono solo cadaveri. Otto giorni dopo, otto squadre di otto uomini ciascuna iniziarono gli scavi per il recupero delle cose. In marzo era impegnato nello scavo un centinaio di persone al giorno e i reperti tornavano ai legittimi eredi, previo riscatto.

Seguirono diverse attività di scavo organizzate, tese esclusivamente al recupero di oggetti di valore e per la ricerca delle campane, nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento furono fatti rinvenimenti più o meno casuali da parte di privati.

AREE ARCHEOLOGICHE

Le campagne organizzate di scavo archeologico vero e proprio e condotto con la rigorosità scientifica del caso si sono svolte negli anni sessanta, quasi per caso, invece, si svolse la campagna del 1988; attualmente nelle aree elencate sono in essere attività di recupero, rilievo ed indagine utili alla migliore identificazione dei luoghi e dei contesti, alle quali potranno seguire attività archeologiche organizzate in funzione delle obbiettività che si andranno a delineare; in questo senso la pulizia e la messa in sicurezza dell’area di Belfort e la pulizia dell’area del campanile di S.Abbondio ed il suo restauro.

AREA CAMPANILE

Altro testimone dell'antico borgo distrutto è il campanile della chiesa di Sant'Abbondio,visibile dalla strada statale, isolato fra i boschi sulla sponda sinistra del torrente Valle drana. La chiesa, consacrata nel XVI secolo e non toccata dalla frana, venne travolta dall'alluvione del torrente nel 1755. In seguito a questo fatto fu costruita nel 1763 quella più a monte, nelle cui sacrestie è oggi il Museo di Piuro.

A cura dall’Associazione e dei volontari che hanno prestato la loro opera, l’area circostante il campanile, come ben documentato nella sezione fotografica, è stata oggetto di recupero per mezzo della pulizia e bonifica che la rendono oggi fruibile. Il campanile è stato oggetto di intervento di restauro sia negli affreschi che nella struttura.

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